Pensieri allo specchio
Carissimi lettori, una signora d'alta classe, così a volte mi sento quando comincio a scrivere di sera; una di quelle signore che non resisterebbe neppure un istante all'idea di uscire di casa senza aver provato prima, davanti allo specchio, questo o quel cappello.
Così prendo questo pensiero, lo indosso e mi riguardo allo specchio della coscienza: lo rigiro, sposto la testa da un lato, provo a chiudere gli occhi ed a riaprirli per verificare l'effetto sorpresa e forse andrebbe calcato meglio sul capo o forse semplicemente non è il pensiero più bello per l'occasione. Allora prendo un altro pensiero, lo appoggio in testa e corro di nuovo allo specchio a verificare se sia perfetto per la serata così com'è o se, invece, non vada tirato un po' dall'altra parte o un po' indietro.
Forse era preferibile l'altro e forse è meglio provarne un altro o un altro ancora così, che spesso finisce che la serata si esaurisca provando infiniti pensieri, in coda uno dopo l'altro e, quando è troppo tardi, ci si ritrova sopraffatti dal rammarico che forse l'uno valeva l'altro perché quel che conta è il contenuto e non la sola forma e dall'amarezza di dover aggiungere un nuovo pensiero a quelli già stipati nell'armadio col rischio di non trovare mai più il tempo per sfoggiarli tutti.
E poi invece certe sere accade di sentire che il primo pensiero che indossi è quello giusto, ti metti davanti allo specchio ma è solo un capriccio di troppo: la soddisfazione che ha partorito quel pensiero è così intensa che tutto il resto non conta, è il cappello buono per l'occasione, quello che vale la pena esibire subito con orgoglio e soddisfazione. Quando nel primo pomeriggio siamo giunti al vigneto, le tenerissime foglie verdi da poco appese ai caldissimi raggi di sole tessuti già a ponente sciorinavano ancora delicate trasparenze, in filigrana svelavano una ricca quanto inaspettata promessa d’abbondanza d'uva ed ogni cuore all'improvviso si scopriva troppo piccolo per contenere la gioia sua e quella della vigna. Già, perché il lieto ondeggiare dei pampini al fiuto del vento e il sommesso distendersi dei tralci che seguono l'istinto del tempo, suonavano un inno di grappoli preludio a gioie future, troppo intenso per essere racchiuso da un piccolo cuore e non essere condiviso con gli altri. È in momenti così che ti accorgi che scattare mille foto non basta a dipingere il volto di un evento. Puoi scattare infinite foto, una per ogni grappolo sbocciato nella vigna e non sentirti sazio perché dentro senti che prese tutte insieme, le infinite foto, non basterebbero a restituire il volto di un'emozione o il senso di un sorriso fatto di foglie appena dischiuse e di grappoli ancora piccolissimi ma preziosi come semi di gioia o promesse d’abbondanza. Allo stesso modo, se avessi fotografato le viti e le persone, avrei ottenuto profili in controluce preoccupati di ricambiare i favori della vigna prendendosi cura del terreno ed estirpando le erbacce cresciute troppo e troppo vicino ai fusti delle viti. Ma, se avessi potuto fotografare le anime e la loro gioia, avrei di sicuro trovato la foto di un coro d'anime e sorrisi danzante all’ombra dei tralci e al sole di succosi abbozzi d'uva.
Avrei potuto fotografare schiene curve e doloranti intente a zappare l'erba cresciuta rigogliosa ai piedi delle viti, ma come fotografare la gioia immensa nascosta dal sudore e derivante dall'aver resistito alle insidie apparentemente meno faticose di diserbi e seccatutto? Del resto ormai così fanno tutti -o quasi- a questioni di mera economia di denaro e di tempo viene sacrificata l'integrità della natura che ci ospita e di cui siamo parte. Se ci penso, mi accorgo che non è certo questo il mondo che ci hanno lasciato i nostri padri: c'è una sapienza antica nei loro gesti e nei loro insegnamenti che racconta come i grandi risultati richiedano in realtà grandi sforzi e spesso un gran dispendio di tempo e di pazienza: la natura ha tempi che non possono essere forzati senza forzare la nostra stessa natura. Non è questa l'acqua che mi hanno lasciato mio padre e mio nonno, né questa la terra che loro coltivavano e non è questa la terra che vorrei lasciare a quelli che verranno.
Inseguire a tutti i costi un ritorno economico e farne il senso esclusivo del successo personale, in realtà aliena, non arricchisce e allontana dalla propria ragion d'essere: è un atto di progressivo e lento disamore. Basta guardare la bellezza di un fiore cresciuto alla penombra di un olivo o la leggerezza variopinta di una coccinella per riscoprire l'importanza di un gesto: rinunciare ai veleni quando in realtà sono ancora impiegati troppo e da troppa gente non può cambiare in assoluto le cose, ma cambia le cose per questo fiore o per questa coccinella. È questo che fa la differenza tra chi sceglie di coltivare –false- ricchezze più che alberi e chi invece ama così tanto una pianta e tutto il suo mondo da scegliere di dedicarle un gesto d'amore dove è importante donare per poter poi ambire a ricevere in dono.
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